IL MANIFESTO DI VENTOTENE
Il testo del Manifesto di Ventotene
"Per un'Europa libera e unita"
"Per un'Europa libera e unita"
Ventotene, agosto 1941
I - LA CRISI DELLA CIVILTA' MODERNA
La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il
quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con
questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli
aspetti della vita sociale che non lo rispettino:
1.Si è affermato l'eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti. Ogni
popolo, individuato nelle sue caratteristiche etniche geografiche linguistiche e storiche,
doveva trovare nell'organismo statale, creato per proprio conto secondo la sua particolare
concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore ai suoi bisogni,
indipendentemente da ogni intervento estraneo.
L'ideologia dell'indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso; ha fatto
superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l'oppressione
degli stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione
degli uomini e delle merci; ha fatto estendere, dentro il territorio di ciascun nuovo stato, alle
popolazioni più arretrate, le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili. Essa
portava però in sé i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto
ingigantire fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali.
La nazione non è più ora considerata come lo storico prodotto della convivenza degli uomini,
che, pervenuti, grazie ad un lungo processo, ad una maggiore uniformità di costumi e di
aspirazioni, trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il
quadro di tutta la società umana. E' invece divenuta un'entità divina, un organismo che deve
pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del
danno che gli altri possono risentirne. La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato
alla volontà di dominio sugli altri e considera suo "spazio vitale" territori sempre più vasti che
gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza senza dipendere
da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquietarsi che nell'egemonia dello stato
più forte su tutti gli altri asserviti.
In conseguenza lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di
sudditi, tenuti a servirlo con tutte le facoltà per rendere massima l'efficienza bellica. Anche nei
periodi di pace, considerati come soste per la preparazione alle inevitabili guerre successive,
la volontà dei ceti militari predomina ormai, in molti paesi, su quella dei ceti civili, rendendo
sempre più difficile il funzionamento di ordinamenti politici liberi; la scuola, la scienza, la
produzione, l'organismo amministrativo sono principalmente diretti ad aumentare il potenziale
bellico; le madri vengono considerate come fattrici di soldati, ed in conseguenza premiate con
gli stessi criteri con i quali alle mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini vengono
educati fin dalla più tenera età al mestiere delle armi e dell'odio per gli stranieri; le libertà
individuali si riducono a nulla dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente
chiamati a prestar servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad abbandonare la
famiglia, l'impiego, gli averi ed a sacrificare la vita stessa per obiettivi di cui nessuno capisce
veramente il valore, ed in poche giornate distruggono i risultati di decenni di sforzi compiuti
per aumentare il benessere collettivo.
Gli stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modo più coerente la unificazione di
tutte le forze, attuando il massimo di accentramento e di autarchia, e si sono perciò dimostrati
gli organismi più adatti all'odierno ambiente internazionale. Basta che una nazione faccia un
passo più avanti verso un più accentuato totalitarismo, perché sia seguita dalle altre nazioni,
trascinate nello stesso solco dalla volontà di sopravvivere.
Si è affermato l'uguale diritto per i cittadini alla formazione della volontà dello stato. Questa
doveva così risultare la sintesi delle mutevoli esigenze economiche e ideologiche di tutte le
categorie sociali liberamente espresse. Tale organizzazione politica ha permesso di
correggere, o almeno di attenuare, molte delle più stridenti ingiustizie ereditarie dai regimi
passati. Ma la libertà di stampa e di associazione e la progressiva estensione del suffragio
rendevano sempre più difficile la difesa dei vecchi privilegi mantenendo il sistema
rappresentativo. I nullatenenti a poco a poco imparavano a servirsi di questi strumenti per
dare l'assalto ai diritti acquisiti dalle classi abbienti; le imposte speciali sui redditi non
guadagnati e sulle successioni, le aliquote progressive sulle maggiori fortune, le esenzioni dei
redditi minimi, e dei beni di prima necessità, la gratuità della scuola pubblica, l'aumento delle
spese di assistenza e di previdenza sociale, le riforme agrarie, il controllo delle fabbriche,
minacciavano i ceti privilegiati nelle loro più fortificate cittadelle.
Anche i ceti privilegiati che avevano consentito all'uguaglianza dei diritti politici non potevano
ammettere che le classi diseredate se ne valessero per cercare di realizzare
quell'uguaglianza di fatto che avrebbe dato a tali diritti un contenuto concreto di effettiva
libertà. Quando, dopo la fine della prima guerra mondiale, la minaccia divenne troppo forte, fu
naturale che tali ceti applaudissero calorosamente ed appoggiassero le instaurazioni delle
dittature che toglievano le armi legali di mano ai loro avversari.
D'altra parte la formazione di giganteschi complessi industriali e bancari e di sindacati riunenti
sotto un'unica direzione interi eserciti di lavoratori, sindacati e complessi che premevano sul
governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di
dissolvere lo stato stesso in tante baronie economiche in acerba lotta tra loro. Gli ordinamenti
democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio
sfruttare l'intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la
convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo la libertà popolare, potesse in
qualche modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano
più a contenere.
Di fatto poi i regimi totalitari hanno consolidato in complesso la posizione delle varie categorie
sociali nei punti volta a volta raggiunti, ed hanno precluso, col controllo poliziesco di tutta la
vita dei cittadini e con la violenta eliminazione dei dissenzienti, ogni possibilità legale di
correzione dello stato di cose vigente. Si è così assicurata l'esistenza del ceto assolutamente
parassitario dei proprietari terrieri assenteisti, e dei redditieri che contribuiscono alla
produzione sociale solo col tagliare le cedole dei loro titoli, dei ceti monopolistici e delle
società a catena che sfruttano i consumatori e fanno volatilizzare i denari dei piccoli
risparmiatori, dei plutocrati, che, nascosti dietro le quinte, tirano i fili degli uomini politici, per
dirigere tutta la macchina dello stato a proprio esclusivo vantaggio, sotto l'apparenza del
perseguimento dei superiori interessi nazionali. Sono conservate le colossali fortune di pochi
e la miseria delle grandi masse, escluse dalle possibilità di godere i frutti delle moderna
cultura. E' salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime economico in cui le risorse materiali
e le forze di lavoro, che dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per lo
sviluppo delle energie vitali umane, vengono invece indirizzate alla soddisfazione dei desideri
più futili di coloro che sono in grado di pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col
diritto di successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto, trasformandosi in
un privilegio senza alcuna corrispondenza al valore sociale dei servizi effettivamente prestati,
e il campo delle alternative ai proletari resta così ridotto che per vivere sono costretti a
lasciarsi sfruttare da chi offra loro una qualsiasi possibilità d'impiego.
Per tenere immobilizzate e sottomesse le classi operaie, i sindacati sono stati trasformati, da
liberi organismi di lotta, diretti da individui che godevano la fiducia degli associati, in organi di
sorveglianza poliziesca, sotto la direzione di impiegati scelti dal gruppo governante e ad esso
solo responsabili. Se qualche correzione viene fatta a un tale regime economico, è sempre
solo dettata dalle esigenze del militarismo, che hanno confluito con le reazionarie aspirazioni
dei ceti privilegiati nel far sorgere e consolidare gli stati totalitari.
3.Contro il dogmatismo autoritario si è affermato il valore permanente dello spirito critico.
Tutto quello che veniva asserito doveva dare ragione di sì o scomparire. Alla metodicità di
questo spregiudicato atteggiamento sono dovute le maggiori conquiste della nostra società in
ogni campo.
Ma questa libertà spirituale non ha resistito alla crisi che ha fatto sorgere gli stati totalitari.
Nuovi dogmi da accettare per fede o da accettare ipocritamente, si stanno accampando in
tutte le scienze. Quantunque nessuno sappia che cosa sia una razza e le più elementari
nozioni storiche ne facciano risultare l'assurdità, si esige dai fisiologi di credere di mostrare e
convincere che si appartiene ad una razza eletta, solo perché l'imperialismo ha bisogno di
questo mito per esaltare nelle masse l'odio e l'orgoglio. I più evidenti concetti della scienza
economica debbono essere considerati anatema per presentare la politica autarchica, gli
scambi bilanciati e gli altri ferravecchi del mercantilismo, come straordinarie scoperte dei
nostri tempi. A causa della interdipendenza economica di tutte le parti del mondo, spazio
vitale per ogni popolo che voglia conservare il livello di vita corrispondente alla civiltà
moderna, è tutto il globo; ma si è creata la pseudo scienza della geopolitica che vuol
dimostrare la consistenza della teoria degli spazi vitali, per dare veste teorica alla volontà di
sopraffazione dell'imperialismo. La storia viene falsificata nei suoi dati essenziali,
nell'interesse della classe governante. Le biblioteche e le librerie vengono purificate di tutte le
opere non considerate ortodosse. Le tenebre dell'oscurantismo di nuovo minacciano di
soffocare lo spirito umano.
La stessa etica sociale della libertà e dell'uguaglianza è scalzata. Gli uomini non sono più
considerati cittadini liberi, che si valgono dello stato per meglio raggiungere i loro fini collettivi.
Sono servitori dello stato che stabilisce quali debbono essere i loro fini, e come volontà dello
stato viene senz'altro assunta la volontà di coloro che detengono il potere. Gli uomini non
sono più soggetti di diritto, ma gerarchicamente disposti, sono tenuti ad ubbidire senza
discutere alle gerarchie superiori che culminano in un capo debitamente divinizzato. Il regime
delle caste rinasce prepotente dalle sue stesse ceneri.
Questa reazionaria civiltà totalitaria, dopo aver trionfato in una serie di paesi, ha infine trovato
nella Germania nazista la potenza che si è ritenuta capace di trarne le ultime conseguenze.
Dopo una meticolosa preparazione, approfittando con audacia e senza scrupoli delle rivalità,
degli egoismi, della stupidità altrui, trascinando al suo seguito altri stati vassalli europei -
primo fra i quali l'Italia - alleandosi col Giappone che persegue fini identici in Asia essa si è
lanciata nell'opera di sopraffazione.
La sua vittoria significherebbe il definitivo consolidamento del totalitarismo nel mondo. Tutte
le sue caratteristiche sarebbero esasperate al massimo, e le forze progressive sarebbero
condannate per lungo tempo ad una semplice opposizione negativa. La tradizionale
arroganza e intransigenza dei ceti militari tedeschi può già darci un'idea di quel che sarebbe il
carattere del loro dominio dopo una guerra vittoriosa. I tedeschi vittoriosi potrebbero anche
permettersi una lustra di generosità verso gli altri popoli europei, rispettare formalmente i loro
territori e le loro istituzioni politiche, per governare così soddisfacendo lo stupido sentimento
patriottico che guarda ai colori dei pali di confine ed alla nazionalità degli uomini politici che si
presentano alla ribalta, invece che al rapporto delle forze ed al contenuto effettivo degli
organismi dello stato. Comunque camuffata, la realtà sarebbe sempre la stessa: una
rinnovata divisione dell'umanità in Spartiati ed Iloti.
Anche una soluzione di compromesso tra le parti ora in lotta significherebbe un ulteriore
passo innanzi del totalitarismo, poiché tutti i paesi che fossero sfuggiti alla stretta della
Germania sarebbero costretti ad accettare le sue stesse forme di organizzazione politica, per
prepararsi adeguatamente alla ripresa della guerra.
Ma la Germania hitleriana, se ha potuto abbattere ad uno ad uno gli stati minori, con la sua
azione ha costretto forze sempre più potenti a scendere in lizza. La coraggiosa combattività
della Gran Bretagna, anche nel momento più critico in cui era rimasta sola a tener testa al
nemico, ha fatto si che i Tedeschi siano andati a cozzare contro la strenua resistenza
dell'esercito sovietico, ed ha dato tempo all'America di avviare la mobilitazione delle sue
sterminate forze produttive. E questa lotta contro l'imperialismo tedesco si è strettamente
connessa con quella che il popolo cinese va conducendo contro l'imperialismo giapponese.
Immense masse di uomini e di ricchezze sono già schierate contro le potenze totalitarie. Le
forze di queste potenze hanno raggiunto il loro culmine e non possono oramai che
consumarsi progressivamente. Quelle avverse hanno invece già superato il momento della
massima depressione e sono in ascesa. La guerra degli Nazioni Unite risveglia ogni giorno di
più la volontà di liberazione anche nei paesi che avevano soggiaciuto alla violenza ed erano
come smarriti per il colpo ricevuto, E persino risveglia tale volontà nei popoli delle potenze
dell'Asse, i quali si accorgono di essere trascinati in una situazione disperata solo per
soddisfare la brama di dominio dei loro padroni.
Il lento processo, grazie al quale enormi masse di uomini si lasciavano modellare
passivamente dal nuovo regime, vi si adeguavano e contribuivano così a consolidarlo, è
arrestato; si è invece iniziato il processo contrario. In questa immensa ondata, che
lentamente si solleva, si ritrovano tutte le forze progressiste; e, le parti più illuminate delle
classi lavoratrici che si erano lasciate distogliere, dal terrore e dalle lusinghe, nella loro
aspirazione ad una superiore forma di vita; gli elementi più consapevoli dei ceti intellettuali,
offesi dalla degradazione cui è sottoposta l'intelligenza; imprenditori, che sentendosi capaci di
nuove iniziative, vorrebbero liberarsi dalle bardature burocratiche, e dalle autarchie nazionali,
che impacciano ogni loro movimento; tutti coloro, infine, che, per un senso innato di dignità,
non sanno piegar la spina dorsale nella umiliazione della servitù.
A tutte queste forze è oggi affidata la salvezza della nostra civiltà.
II - I COMPITI DEL DOPO GUERRA - L'UNITA' EUROPEA
La sconfitta della Germania non porterebbe automaticamente al riordinamento dell'Europa
secondo il nostro ideale di civiltà.
Nel breve intenso periodo di crisi generale, in cui gli stati nazionali giaceranno fracassati al
suolo, in cui le masse popolari attenderanno ansiose la parola nuova e saranno materia fusa,
ardente, suscettibile di essere colata in forme nuove, capace di accogliere la guida di uomini
seriamente internazionalisti, i ceti che più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali
cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l'ondata dei sentimenti e delle
passioni internazionalistiche, e si daranno ostinatamente a ricostruire i vecchi organismi
statali. Ed è probabile che i dirigenti inglesi, magari d'accordo con quelli americani, tentino di
spingere le cose in questo senso, per riprendere la politica dell'equilibrio delle potenze
nell'apparente immediato interesse del loro impero.
Le forze conservatrici, cioè i dirigenti delle istituzioni fondamentali degli stati nazionali: i quadri
superiori delle forze armate, culminanti là, dove ancora esistono, nelle monarchie; quei gruppi
del capitalismo monopolista che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelle degli stati; i
grandi proprietari fondiari e le alte gerarchie ecclesiastiche, che solo da una stabile società
conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie; ed al loro seguito tutto
l'innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o che sono anche solo abbagliati dalla
loro tradizionale potenza; tutte queste forze reazionarie, già fin da oggi, sentono che l'edificio
scricchiola e cercano di salvarsi. Il crollo le priverebbe di colpo di tutte le garanzie che hanno
avuto fin'ora e le esporrebbe all'assalto delle forze progressiste.
Ma essi hanno uomini e quadri abili ed adusati al comando, che si batteranno accanitamente
per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati.
Si proclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle classi più
povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuati dentro i movimenti popolari, e li
abbiano paralizzati, deviati convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più
pericolosa con cui si dovrà fare i conti.
Il punto sul quale essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale.
Potranno così far presa sul sentimento popolare più diffuso, più offeso dai recenti movimenti,
più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico. In tal modo possono
anche sperare di più facilmente confondere le idee degli avversari, dato che per le masse
popolari l'unica esperienza politica finora acquisita è quella svolgentesi entro l'ambito
nazionale, ed è perciò abbastanza facile convogliare, sia esse che i loro capi più miopi, sul
terreno della ricostruzione degli stati abbattuti dalla bufera.
Se raggiungessero questo scopo avrebbero vinto. Fossero pure questi stati in apparenza
largamente democratici o socialisti, il ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo
questione di tempo. Risorgerebbero le gelosie nazionali e ciascuno stato di nuovo riporrebbe
la soddisfazione delle proprie esigenze solo nella forza delle armi. Loro compito precipuo
tornerebbe ad essere, a più o meno breve scadenza, quello di convertire i loro popoli in
eserciti. I generali tornerebbero a comandare, i monopolisti ad approfittare delle autarchie, i
corpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le masse. Tutte le conquiste del primo
momento si raggrinzerebbero in un nulla di fronte alla necessità di prepararsi nuovamente
alla guerra.
Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è
che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani. Il
crollo della maggior parte degli stati del continente sotto il rullo compressore tedesco ha già
accomunato la sorte dei popoli europei, che o tutti insieme soggiaceranno al dominio
hitleriano, o tutti insieme entreranno, con la caduta di questo in una crisi rivoluzionaria in cui
non si troveranno irrigiditi e distinti in solide strutture statali.
Gli spiriti sono giù ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federale
dell'Europa. La dura esperienza ha aperto gli occhi anche a chi non voleva vedere ed ha fatto
maturare molte circostanze favorevoli al nostro ideale.
Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si può mantenere un equilibrio di stati
europei indipendenti con la convivenza della Germania militarista a parità di condizioni con gli
altri paesi, né si può spezzettare la Germania e tenerle il piede sul collo una volta che sia
vinta. Alla prova, è apparso evidente che nessun paese d'Europa può restarsene da parte
mentre gli altri si battono, a nulla valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di non
aggressione. E' ormai dimostrata la inutilità, anzi la dannosità di organismi, tipo della Società
delle Nazioni, che pretendano di garantire un diritto internazionale senza una forza militare
capace di imporre le sue decisioni e rispettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti.
Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe
essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione
interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei.
Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del
continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco
al mare dei paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese, ecc., che
troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come l'hanno trovata in
passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità
nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti fra le
diverse provincie.
D'altra parte la fine del senso di sicurezza nella inattaccabilità della Gran Bretagna, che
consigliava agli inglesi la "splendid isolation", la dissoluzione dell'esercito e della stessa
repubblica francese, al primo serio urto delle forze tedesche - risultato che è da sperare abbia
di molto smorzata la presunzione sciovinista della superiorità gallica - e specialmente la
coscienza della gravità del pericolo corso di generale asservimento, sono tutte circostanze
che favoriranno la costituzione di un regime federale che ponga fine all'attuale anarchia. Ed il
fatto che l'Inghilterra abbia accettato il principio dell'indipendenza indiana, e la Francia abbia
potenzialmente perduto col riconoscimento della sconfitta, tutto il suo impero, rendono più
agevole trovare anche una base di accordo per una sistemazione europea dei problemi
coloniali.
A tutto ciò va infine aggiunta la scomparsa di alcune delle principali dinastie e la fragilità delle
basi di quelle che sostengono le dinastie superstiti. Va tenuto conto, infatti, che le dinastie,
considerando i diversi paesi come tradizionale appannaggio proprio, rappresentavano, con i
poderosi interessi di cui erano l'appoggio, un serio ostacolo alla organizzazione razionale
degli Stati Uniti d'Europa, il quale non possono poggiare che sulla costituzioni repubblicane di
tutti i paesi federati.
E quando, superando l'orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione di insieme
tutti i popoli che costituiscono l'umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea
è l'unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi
su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi
possibile l'unità politica dell'intero globo.
La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, non lungo la
linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da
istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come
campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico
nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando
che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che
risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di
un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e,
anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento
per realizzare l'unità internazionale.
Con la propaganda e con l'azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami tra i
movimenti simili che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre fin d'ora gettare le
fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo
organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa;
per costituire un largo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto
degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi
totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue
deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi
l'autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le
peculiari caratteristiche dei vari popoli.
Se ci sarà nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno
ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, perché la situazione e gli animi saranno favorevoli
alla loro opera e di fronte avranno partiti e tendenze già tutti squalificati dalla disastrosa
esperienza dell'ultimo ventennio. Poiché sarà l'ora di opere nuove, sarà anche l'ora di uomini
nuovi, del movimento per l'Europa libera e unita!
III - I COMPITI DEL DOPO GUERRA LA RIFORMA DELLA SOCIETA'
Un'Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di
cui l'era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era sarà riprendere
immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali.
Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l'attuazione, saranno crollanti o
crollate, e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione. La rivoluzione
europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi
l'emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita.
La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione, non può essere
però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali
di produzione deve essere in linea di principio abolita, e tollerata solo in linea provvisoria,
quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generale dell'economia è stata
la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione del
giogo capitalista, ma, una volta realizzata a pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla
costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei
burocrati gestori dell'economia, come è avvenuto in Russia.
Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione
generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le
forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma - come avviene per forze naturali -
essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi
masse non ne siano vittime. Le gigantesche forze di progresso, che scaturiscono
dall'interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica "routinière" per
trovarsi poi di fronte all'insolubile problema di resuscitare lo spirito d'iniziativa con le
differenziazioni dei salari, e con gli altri provvedimenti del genere dello stachenovismo
dell'U.R.S.S., col solo risultato di uno sgobbamento più diligente. Quelle forze vanno invece
esaltate ed estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed impiego, e
contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli
obiettivi di maggiore utilità per tutta la collettività.
La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non
dogmaticamente in linea di principio.
Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica
europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocraticismo nazionali. In essa possono
trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei paesi capitalistici oppressi dal dominio dei ceti
padronali, quanto i lavoratori dei paesi comunisti oppressi dalla tirannide burocratica. La
soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale anche nella coscienza dei
lavoratori. Volendo indicare in modo più particolareggiato il contenuto di questa direttiva, ed
avvertendo che la convenienza e le modalità di ogni punto programmatico dovranno essere
sempre giudicate in rapporto al presupposto oramai indispensabile dell'unità europea,
mettiamo in rilievo i seguenti punti:
A non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un'attività
necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori (ad
esempio le industrie elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di
interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni
di favore, ecc. (l'esempio più notevole di questo tipo di industrie sono in Italia ora le industrie
siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai
occupati, o per l'importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato
imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari,
industrie degli armamenti). E' questo il campo in cui si dovrà procedere senz'altro a
nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti;
B le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto di
successione hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che
converrà distribuire, durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti
parassitari e per dare ai lavoratori gl'istrumenti di produzione di cui abbisognano, onde
migliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita.
Pensiamo cioè ad una riforma agraria che, passando la terra a chi coltiva, aumenti
enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale che estenda la proprietà
dei lavoratori, nei settori non statizzati, con le gestioni cooperative, l'azionariato operaio, ecc.;
C i giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze
fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare la
possibilità effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più
ricchi; e dovrà preparare, in ogni branca di studi per l'avviamento ai diversi mestieri e alla
diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del
mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi pressappoco eguali, per tutte le
categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze tra le rimunerazioni
nell'interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali;
D la potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa dei generi di prima
necessità con la tecnica moderna, permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale
relativamente piccolo, il vitto, l'alloggio e il vestiario col minimo di conforto necessario per
conservare la dignità umana. La solidarietà sociale verso coloro che riescono soccombenti
nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi non con le forme caritative, sempre avvilenti,
e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di
provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare,
un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà
più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori;
E la liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solo realizzando le condizioni
accennate nei punti precedenti: non lasciandole ricadere nella politica economica dei
sindacati monopolistici, che trasportano semplicemente nel campo operaio i metodi
sopraffattori caratteristici specialmente del grande capitale. I lavoratori debbono tornare a
essere liberi di scegliere i fiduciari per trattare collettivamente le condizioni a cui intendono
prestare la loro opera, e lo stato dovrà dare i mezzi giuridici per garantire l'osservanza dei
patti conclusivi; ma tutte le tendenze monopolistiche potranno essere efficacemente
combattute, una volta che saranno realizzate quelle trasformazioni sociali.
Questi sono i cambiamenti necessari per creare, intorno al nuovo ordine, un larghissimo
strato di cittadini interessati al suo mantenimento e per dare alla vita politica una consolidata
impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale. Su queste basi le
libertà politiche potranno veramente avere un contenuto concreto e non solo formale per tutti,
in quanto la massa dei cittadini avrà una indipendenza ed una conoscenza sufficiente per
esercitare un efficace e continuo controllo sulla classe governante.
Sugli istituti costituzionali sarebbe superfluo soffermarci, poiché, non potendosi prevedere le
condizioni in cui dovranno sorgere ed operare, non faremmo che ripetere quello che tutti già
sanno sulla necessità di organi rappresentativi per la formazione delle leggi,
dell'indipendenza della magistratura - che prenderà il posto dell'attuale - per l'applicazione
imparziale delle leggi emanate, della libertà di stampa e di associazione, per illuminare
l'opinione pubblica e dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare effettivamente alla vita
dello stato. Su due sole questioni è necessario precisare meglio le idee, per la loro particolare
importanza in questo momento nel nostro paese, sui rapporti dello stato con la chiesa e sul
carattere della rappresentanza politica:
A la Chiesa cattolica continua inflessibilmente a considerarsi unica società perfetta, a cui
lo stato dovrebbe sottomettersi, fornendole le armi temporali per imporre il rispetto della sua
ortodossia. Si presenta come naturale alleata di tutti i regimi reazionari, di cui cerca
approfittare per ottenere esenzioni e privilegi, per ricostruire il suo patrimonio, per stendere di
nuovo i suoi tentacoli sulla scuola e sull'ordinamento della famiglia. Il concordato con cui in
Italia il Vaticano ha concluso l'alleanza col fascismo andrà senz'altro abolito, per affermare il
carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la supremazia
dello stato sulla vita civile. Tutte le credenze religiose dovranno essere ugualmente rispettate,
ma lo stato non dovrà più avere un bilancio dei culti, e dovrà riprendere la sua opera
educatrice per lo sviluppo dello spirito critico;
B la baracca di cartapesta che il fascismo ha costruito con l'ordinamento corporativo
cadrà in frantumi, insieme alle altre parti dello stato totalitario. C'è chi ritiene che da questi
rottami si potrà domani trarre il materiale per il nuovo ordine costituzionale. Noi non lo
crediamo. Nello stato totalitario le Camere corporative sono la beffa, che corona il controllo
poliziesco sui lavoratori. Se anche però le Camere corporative fossero la sincera espressione
delle diverse categorie dei produttori, gli organi di rappresentanza delle diverse categorie
professionali non potrebbero mai essere qualificati per trattare questioni di politica generale, e
nelle questioni più propriamente economiche diverrebbero organi di sopraffazione delle
categorie sindacalmente più potenti.
Ai sindacati spetteranno ampie funzioni di collaborazione con gli organi statali, incaricati di
risolvere i problemi che più direttamente li riguardano, ma è senz'altro da escludere che ad
essi vada affidata alcuna funzione legislativa, poiché risulterebbe un'anarchia feudale nella
vita economica, concludentesi in un rinnovato dispotismo politico. Molti che si sono lasciati
prendere ingenuamente dal mito del corporativismo potranno e dovranno essere attratti
all'opera di rinnovamento, ma occorrerà che si rendano conto di quanto assurda sia la
soluzione da loro confusamente sognata. Il corporativismo non può avere vita concreta che
nella forma assunta degli stati totalitari, per irreggimentare i lavoratori sotto funzionari che ne
controllano ogni mossa nell'interesse della classe governante.
IV - LA SITUAZIONE RIVOLUZIONARIA: VECCHIE E NUOVE CORRENTI
La caduta dei regimi totalitari significherà per interi popoli l'avvento della "libertà" sarà
scomparso ogni freno ed automaticamente regneranno amplissime libertà di parola e di
associazione.
Sarà il trionfo delle tendenze democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature che vanno
da un liberalismo molto conservatore, fino al socialismo e all'anarchia. Credono nella
"generazione spontanea" degli avvenimenti e delle istituzioni, nella bontà assoluta degli
impulsi che vengono dal basso. Non vogliono forzare la mano alla "storia" al "popolo" al
"proletariato" o come altro chiamano il loro dio. Auspicano la fine delle dittature
immaginandola come la restituzione al popolo degli imprescrittibili diritti di
autodeterminazione. Il coronamento dei loro sogni è un'assemblea costituente eletta col più
esteso suffragio e col più scrupoloso rispetto degli elettori, la quale decida che costituzione il
popolo debba darsi. Se il popolo è immaturo se ne darà una cattiva, ma correggerla si potrà
solo mediante una costante opera di convinzione.
I democratici non rifuggono per principio dalla violenza, ma la vogliono adoperare solo
quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità, cioè propriamente quando non
è più altro che un pressoché superfluo puntino da mettere sulla i. Sono perciò dirigenti adatti
solo nelle epoche di ordinaria amministrazione, in cui un popolo è nel suo complesso convinto
della bontà delle istituzioni fondamentali, che debbono essere ritoccate solo in aspetti
relativamente secondari. Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già
essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. La pietosa
impotenza dei democratici nelle rivoluzioni russa, tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti
esempi.
In tali situazioni, caduto il vecchio apparato statale, con le sue leggi e la sua amministrazione,
pullulano immediatamente, con sembianza di vecchia legalità o sprezzandola, una quantità di
assemblee e rappresentanze popolari in cui convergono e si agitano tutte le forze sociali
progressiste. Il popolo ha sì alcuni bisogni fondamentali da soddisfare, ma non sa con
precisione cosa volere e cosa fare. Mille campane suonano alle sue orecchie, con i suoi
milioni di teste non riesce a raccapezzarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in lotta
tra loro.
Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarrirti
non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di
passioni; pensano che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come
predicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare; perdono le
occasioni favorevoli al consolidamento del nuovo regime, cercando di far funzionare subito
organi che presuppongono una lunga preparazione e sono adatti ai periodi di relativa
tranquillità; danno ai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli;
rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non già la volontà di rinnovamento, ma le
confuse volontà regnanti in tutte le menti, che, paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno
propizio allo sviluppo della reazione. La metodologia politica democratica sarà un peso morto
nella crisi rivoluzionaria.
Man mano che i democratici logorassero nelle loro logomachie la loro prima popolarità di
assertori della libertà, mancando ogni seria rivoluzione politica e sociale, si andrebbero
immancabilmente ricostituendo le istituzioni politiche pretotalitarie, e la lotta tornerebbe a
svilupparsi secondo i vecchi schemi della contrapposizione delle classi.
Il principio secondo il quale la lotta di classe è il termine cui van ridotti tutti i problemi politici,
ha costituito la direttiva fondamentale, specialmente degli operai delle fabbriche, ed ha
giovato a dare consistenza alla loro politica, finché non erano in questione le istituzioni
fondamentali della società. Ma si converte in uno strumento di isolamento del proletariato,
quando si imponga la necessità di trasformare l'intera organizzazione della società. Gli operai
educati classisticamente non sanno allora vedere che le loro particolari rivendicazioni di
classe, o di categoria, senza curarsi di come connetterle con gli interessi degli altri ceti,
oppure aspirano alla unilaterale dittatura delle loro classe, per realizzare l'utopistica
collettivizzazione di tutti gli strumenti materiali di produzione, indicata da una propaganda
secolare come il rimedio sovrano di tutti i loro mali. Questa politica non riesce a far presa su
nessun altro strato fuorché sugli operai, i quali così privano le altre forze progressive del loro
sostegno, e le lasciano cadere in balia della reazione, che abilmente le organizza per
spezzare le reni allo stesso movimento proletario.
Delle varie tendenze proletarie, seguaci della politica classista e dell'ideale collettivista, i
comunisti hanno riconosciuto la difficoltà di ottenere un seguito di forze sufficienti per vincere,
e per ciò si sono - a differenza degli altri partiti popolari - trasformati in un movimento
rigidamente disciplinato, che sfrutta quel che residua del mito russo per organizzare gli
operai, ma non prende leggi da essi, e li utilizza nelle più disparate manovre.
Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, più efficienti dei
democratici; ma tenendo essi distinte quanto più possono le classi operaie dalle altre forze
rivoluzionarie - col predicare che la loro "vera" rivoluzione è ancora da venire - costituiscono
nei momento decisivi un elemento settario che indebolisce il tutto. Inoltre la loro assidua
dipendenza allo stato russo, che li ha ripetutamente adoperati senza scrupoli per il
perseguimento della sua politica nazionale, impedisce loro di perseguire una politica con un
minimo di continuità. Hanno sempre bisogno di nascondersi dietro un Karoly, un Blum, un
Negrin, per andare poi fatalmente in rovina dietro i fantocci democratici adoperati, poiché il
potere si consegue e si mantiene non semplicemente con la furberia, ma con la capacità di
rispondere in modo organico e vitale alle necessità della società moderna. La loro scarsa
consistenza si palesa invece senza possibilità di equivoci quando, venendo a mancare il
camuffamento, fanno regolarmente mostra di un puro verbalismo estremista.
Se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale, sarebbe molto difficile
sfuggire alle vecchie aporie. Gli stati nazionali hanno infatti già così profondamente pianificato
le proprie rispettive economie che la questione centrale diverrebbe ben presto quella di
sapere quale gruppo di interessi economici, cioè quale classe, dovrebbe detenere le leve di
comando del piano. Il fronte delle forze progressiste sarebbe facilmente frantumato nella rissa
tra classi e categorie economiche. Con le maggiori probabilità i reazionari sarebbero coloro
che ne trarrebbero profitto. Ma anche i comunisti, nonostante le loro deficenze, potrebbero
avere il loro quarto d'ora, convogliare le masse stanche, deluse, assumere il potere ed
adoperarlo per realizzare, come in Russia, il dispotismo burocratico su tutta la vita
economica, politica e spirituale del paese.
Una situazione dove i comunisti contassero come forza politica dominante significherebbe
non uno sviluppo non in senso rivoluzionario, ma già il fallimento del rinnovamento europeo.
Larghissime masse restano ancora influenzate o influenzabili dalle vecchie tendenze
democratiche e comuniste, perché non scorgono nessuna prospettiva di metodi e di obiettivi
nuovi. Tali tendenze sono però formazioni politiche del passato; da tutti gli sviluppi storici
recenti nulla hanno appreso, nulla dimenticato; incanalano le forze progressiste lungo strade
che non possono serbare che delusioni e sconfitte; di fronte alle esigenze più profonde del
domani costituiscono un ostacolo e debbono o radicalmente modificarsi o sparire.
Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che hanno saputo criticare le
vecchie impostazioni politiche; dovrà sapere collaborare con le forze democratiche, con
quelle comuniste, ed in genere con quanti cooperano alla disgregazione del totalitarismo, ma
senza lasciarsi irretire dalla loro prassi politica.
Il partito rivoluzionario non può essere dilettantescamente improvvisato nel momento
decisivo, ma deve sin da ora cominciare a formarsi almeno nel suo atteggiamento politico
centrale, nei suoi quadri generali e nelle prime direttive d'azione. Esso non deve
rappresentare una coalizione eterogenea di tendenze, riunite solo transitoriamente e
negativamente, cioè per il loro passato antifascista e nella semplice del disgregamento del
totalitarismo, pronte a disperdersi ciascuna per la sua strada una volta raggiunta quella
caduta. Il partito rivoluzionario deve sapere invece che solo allora comincerà veramente la
sua opera e deve perciò essere costituito di uomini che si trovino d'accordo sui principali
problemi del futuro. Deve penetrare con la sua propaganda metodica ovunque ci siano degli
oppressi dell'attuale regime, e, prendendo come punto di partenza quello volta volta sentito
come il più doloroso dalle singole persone e classi, mostrare come esso si connetta con altri
problemi e quale possa esserne la vera soluzione. Ma dalla schiera sempre crescente dei
suoi simpatizzanti deve attingere e reclutare nell'organizzazione del partito solo coloro che
abbiano fatto della rivoluzione europea lo scopo principale della loro vita, che
disciplinatamente realizzino giorno per giorno il lavoro necessario, provvedano oculatamente
alla sicurezza, continua ed efficacia di esso, anche nella situazione di più dura illegalità, e
costituiscano così la solida rete che dia consistenza alla più labile sfera dei simpatizzanti.
Pur non trascurando nessuna occasione e nessun campo per seminare la sua parola, esso
deve rivolgere la sua operosità in primissimo luogo a quegli ambienti che sono i più importanti
come centri di diffusione di idee e come centri di reclutamento di uomini combattivi; anzitutto
verso i due gruppi sociali più sensibili nella situazione odierna, e decisivi in quella di domani,
vale a dire la classe operaia e i ceti intellettuali. La prima è quella che meno si è sottomessa
alla ferula totalitaria, che sarà la più pronta a riorganizzare le proprie file. Gli intellettuali,
particolarmente i più giovani, sono quelli che si sentono spiritualmente soffocare e disgustare
dal regnante dispotismo. Man mano altri ceti saranno inevitabilmente attratti nel movimento
generale.
Qualsiasi movimento che fallisca nel compito di alleanza di queste forze è condannato alla
sterilità, poiché, se à movimento di soli intellettuali, sarà privo di quella forza di massa
necessaria per travolgere le resistenze reazionarie, sarà diffidente e diffidato rispetto alla
classe operaia; ed anche se animato da sentimenti democratici, sarà proclive a scivolare, di
fronte alle difficoltà, sul terreno della reazione di tutte le altre classi contro gli operai, cioè
verso una restaurazione.
Se poggerà solo sulla classe operaia sarà privo di quella chiarezza di pensiero che non può
venire che dagli intellettuali, e che è necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove
vie: rimarrà prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici dappertutto, e sdrucciolerà sulla
dottrinaria soluzione comunista.
Durante la crisi rivoluzionaria spetta a questo partito organizzare e dirigere le forze
progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come
crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le forze rivoluzionarie, non per emettere plebisciti,
ma in attesa di essere guidate.
Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto, non da una preventiva
consacrazione da parte della ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di
rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive
del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del
partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia.
Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente sbocciare in un
nuovo dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un tipo di società servile. Ma se il
partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo fin dai primissimi passi le condizioni per
una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare alla vita dello stato, la sua
evoluzione sarà, anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una
progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel
senso di una crescente possibilità di funzionamento di istituzioni politiche libere.
Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi
pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare
gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano,
cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell'attuale crisi
della civiltà europea, e che perciò raccolgono l'eredità di tutti i movimenti di elevazione
dell'umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come
raggiungerlo.
La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.
Altiero Spinelli. Ernesto Rossi, Eugenio Colorni
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