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L’UNIONE EUROPEA È A UN TRAGICO BIVIO DELLA SUA TRAVAGLIATA STORIA: DECLINO REGRESSIVO VERSO IL NEONAZIONALISMO O RILANCIO PROGRESSIVO VERSO L’OBIETTIVO DEGLI STATI UNITI D’EUROPA.




È LA PROGETTUALITÀ POLITICO-ISTITUZIONALE CHE DEVE AVERE UN RUOLO DECISIVO


di Giuseppe Lumia


La tragedia inenarrabile di Gaza incalza e richiama l’Europa a un cambio di passo, così anche il conflitto sempre più lacerante in Ucraina. Lo stesso rilievo vale se pensiamo ai dazi imposti da Trump e subiti senza una reazione adeguata. Altrettanto si può dire di tutti i nodi irrisolti legati alla spesa militare, alla transizione green, alla gestione dell’immigrazione e delle politiche di innovazione tecnologica, alla diffusione delle mafie e delle dipendenze, alla denatalità in picchiata e alle disuguaglianze di reddito, di genere, generazionali e territoriali fuori controllo.


Su tutte le sfide più drammatiche l’Unione Europea arranca e si va via via sfaldando. Da più parti si presentano report molto critici, come quello ben documentato di Draghi. Lo stesso piglio critico lo ritroviamo in diversi interventi di Romano Prodi e di altri leader e intellettuali sinceramente europeisti.


Ma a ben vedere ancora non viene messo a fuoco il limite strutturale dell’attuale Unione Europea, derivante dal livello istituzionale della sua ossatura politica.


Si tratta di un modello ibrido, sostanzialmente “confederale”, che assegna ai singoli Stati un potere reale e di veto del tutto sproporzionato rispetto al Parlamento Europeo, dotato di un potere legislativo incompleto, e alla Commissione Europea, il cui potere esecutivo è fragile. Il risultato è uno squilibrio tra poteri nella governance che produce buona parte dell’attuale irrilevanza e paralisi decisionale.


In sostanza, più ci si attarda nell’attuale assetto politico e istituzionale, più si compromette il futuro unitario sociale, economico e internazionale dell’Europa.


Sì, il destino dell’Europa è più che mai in bilico. Se non si cambia passo, ad iniziare dal piano politico-istituzionale, il suo futuro è segnato da un ritorno “regressivo” al primato nazionalista dei singoli Stati, nel frattempo inondati al proprio interno dalla propaganda populista di leader autoritari e di destra, che sono comunque destinati a una inevitabile subalternità nel nuovo ordine mondiale.


Su questa strada, che riporta ai singoli Paesi “tronfi di sovranismo”, si sta delineando un esito comune: quello di ridursi a piccole colonie in mano alla protervia degli Stati Uniti, della Russia o della Cina. Quest’ultima potenza è nel frattempo in pieno movimento su scala globale, intessendo rapporti inediti con importanti democrazie molto travagliate ma comunque in evoluzione, come il Brasile in America Latina, il Sudafrica nel continente a noi limitrofo, l’India nel contesto asiatico.


C’è però un’altra strada: quella che porta a trasformare questa crisi strutturale di portata storica in risorsa altrettanto strutturale e inedita, puntando decisamente sull’assetto Federale da dare finalmente all’Unione Europea. Certo, è una strada tutta in salita e piena di ostacoli e insidie. È tuttavia l’unica in grado di superare le complesse difficoltà in cui versano al proprio interno le società europee e occidentali, in un generale contesto globale afflitto da serissimi problemi, nel quale tutti i livelli della fragile e contraddittoria governance sono saltati.


È più che mai urgente allora rompere gli indugi e imboccare un chiaro percorso politico che conduca decisamente e chiaramente agli Stati Uniti d’Europa.


Certo, siamo in notevole e rischiosissimo ritardo, ma non tutto è ancora perduto.


Già dopo il crollo del muro di Berlino si sarebbe dovuto scegliere l’assetto istituzionale Federale. Ma non si è voluto e saputo farlo, per cui l’allargamento dell’Unione Europea a nuovi Paesi è diventato un prevedibile boomerang. Senza una moderna Costituzione europea, senza un Parlamento e un Governo con poteri reali, il “diritto di veto” ha reso impraticabile qualunque capacità decisionale.


Nel frattempo la burocrazia europea ha preso il sopravvento, smorzando i legami innovativi presenti nell’economia e nella società. L’assenza di un esercito comune, di una fiscalità omogenea e di un welfare inclusivo ha reso il valore dell’Europa di scarso peso e poco attrattivo. Mancano inoltre politiche pubbliche in grado di promuovere un benessere diffuso a vantaggio del ceto medio-basso, una politica estera a una sola voce e un governo capace di affrontare le drammatiche sfide determinate da conflitti, innovazioni tecnologiche, transizione ambientale, politiche migratorie, diffusione delle mafie e delle dipendenze.


Putin e Trump avvertono la difficoltà in cui versa il Vecchio Continente e si avventano su di esso per assestare i colpi mortali all’unità europea. L’obiettivo è renderla definitivamente disarticolata, fragile e subalterna. La gestione geopolitica legata al conflitto in Ucraina e nella Striscia di Gaza è in tal senso tragicamente evidente. Anche la Cina, sorniona, si propone come gancio rivolto ai singoli Paesi ma per sostenerne il ruolo commerciale ed economico solo in modo apparente, rendendoli in realtà subalterni.


Eppure l’Europa ha enormi potenzialità culturali, economiche e sociali. Ha tutte le capacità per uscire dalla crisi e decollare, in modo da riprendere un inedito ruolo nella sua storia e realizzare uno spazio di libertà reale, di democrazia avanzata, di uguaglianza sostanziale, di sviluppo sostenibile socialmente e ambientalmente, per cambiare in senso positivo anche le dinamiche globali per i destini dell’umanità e del pianeta.


Per raggiungere questo obiettivo, tuttavia, è necessario che la politica trasformi l’utopia di Ventotene dell’Europa Federale in una realtà incisiva e innovativa: oggi è una stringente necessità su cui scommettere la stessa responsabilità e credibilità delle classi dirigenti.


A questo compito devono concorrere innanzitutto i Partiti progressisti e democratici, ma anche quei moderati lontani dal sovranismo di destra e desiderosi di essere un’alternativa alla estrema destra. Al nuovo corso devono contribuire le Chiese, quelle che vogliono coerentemente promuovere la Pace, la Giustizia e la Salvaguardia del Creato. Non deve mancare poi il contributo insostituibile delle Università e degli intellettuali che intuiscono la drammaticità attuale e intendono svolgere appieno la propria funzione di guida critica dell’innovazione, nella sua dimensione più liberante. Così pure devono essere partecipi a pieno titolo i corpi intermedi del Volontariato, del Terzo Settore, dei Sindacati, che vivono nei territori, per cambiare in meglio la società, senza limitarsi a tamponare le falle e curare i tanti “feriti” dalla regressione umana e sociale.


È interessante a tal proposito il recente documento “Un Codice per una nuova Europa”, un Appello sottoscritto da esponenti del variegato e impegnato mondo cattolico, universitario e sociale.


C’è ancora tempo per un percorso costituente degli Stati Uniti d’Europa, c’è ancora l’opportunità di far dispiegare tutte le sue potenzialità.


Bisogna allora invitare soprattutto i vari Movimenti Federalisti che lavorano da anni all’Europa Federale ad uscire dai propri gusci e organizzare insieme una road map in grado di raggiungere l’obiettivo costituente nella società e nelle istituzioni. Non va trascurato il fatto che tra i giovani il consenso verso gli Stati Uniti d’Europa è ancora maggioritario. Mettersi in cammino in tale direzione darebbe alla politica energia vitale e fiducia. Darebbe inoltre al conflitto contro le derive autoritarie un “sapore” forte sul piano dei valori nonché un radicamento socialmente condivisibile.

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