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LE RISORSE E LE SCELTE PER IL RECOVERY FUND: UNA SFIDA DECISIVA PER L’EUROPA E PER L’ITALIA di Giuseppe Lumia

Eppur si muove! Pochi oramai ci speravano ma l’Europa, messa alle strette, dà segnali di risveglio.

Finalmente una bella notizia, il Recovery Fund, tanto voluto dagli europeisti soprattutto italiani, comincia a muovere i primi passi. La proposta che si sta delineando e che la Von der Leyen ha presentato al Parlamento europeo ha due notevoli pregi.

Il primo è la consistenza finanziaria del Fondo: 750 miliardi di euro. Naturalmente sarebbe stato meglio se fossimo giunti alla cifra dei mille miliardi, ma già questa somma non è per niente da disprezzare.

Il secondo è che di questi 750 miliardi ben 500 sono a fondo perduto, mentre 250 miliardi sono prestiti da restituire. In questo caso è da sottolineare la disponibilità dei 500 miliardi a fondo perduto.

Primi vagiti di un’Europa che finalmente si è svegliata, dopo le sonnolenze, gli egoismi, i ritardi della prima fase che ha caratterizzato la reazione europea di fronte all’immane sfida e alla tragedia della pandemia da Coronavirus.

Adesso il negoziato non deve retrocedere e impantanarsi in una mediazione a somma zero, dove cioè alla fine non si è né carne né pesce e il Fondo viene svilito delle sue potenzialità, soprattutto per la parte più importante, quella a fondo perduto, con clausole e condizioni inaccettabili.

Sappiamo bene che alcuni Paesi di scelte di questo tipo continuano a non voler sentir parlare. Tra questi spiccano la Svezia, la Danimarca, l’Austria e l’Olanda. A favore, sono invece i più importanti Paesi europeisti, come l’Italia, la Francia, la Spagna e il Portogallo. Di recente, anche la Germania si è schierata a favore dell’Europa comune, seppure con ritardi e mille mal di pancia. Stavolta il peso è pertanto tutto a favore dei Paesi più europeisti, in termini sia di popolazione sia di produzione di PIL e di contributo versato all’Unione Europea.

Sembra echeggiare l’antico scontro tra Confederali e Federali, tra le giacche grigie e le giacche blu, che abbiamo conosciuto sin da piccoli attraverso i film che ci raccontavano delle battaglie della guerra civile in America. Gli Stati Uniti, fino a quando erano uno Stato Confederale, erano deboli e dilaniati da conflitti interni, con la schiavitù a reggere l’economia dei Paesi Confederali. Quando prevalsero i Federali e divennero realmente Stati Uniti, gli USA si avviarono a diventare un Paese tra i più importanti nel bene e nel male della storia.
Su scala più ridotta, la stessa evoluzione istituzionale è avvenuta in Svizzera, con i risultati che tutti conosciamo e spesso invidiamo.

Ora è bene che anche in Europa avvenga la stessa evoluzione verso gli Stati Uniti d’Europa. Solo così potremo avere ad esempio uno stesso Fisco per tutte le imprese europee ed evitare quella concorrenza sleale a favore di Paesi come l’Olanda, che guarda caso è tra i più confederali e nazionalisti.
Così anche potremo avere stessi livelli di reddito, per fare in modo che il mondo del lavoro non sia umiliato e offeso come succede da anni, con la conseguenza che il ceto medio-basso è stato trascinato pressoché dappertutto in uno stato di povertà.
Potremo avere inoltre uno stesso esercito, risparmiando miliardi di euro e finalmente rilanciare il welfare europeo nella sanità, nella scuola, nei servizi sociali e vincere la sfida dell’ambiente e dell’innovazione tecnologica con livelli esemplari per l’umanità.
Senza tralasciare l’idea di avere un solo Governo europeo eletto direttamente dai cittadini e un Parlamento veramente legislativo, per dare alla sovranità europea forza e capacità di decisione e partecipazione democratica, all’altezza della necessità di stare con il passo giusto nella globalizzazione e di affrontare finalmente i gravi problemi di pace e sicurezza presenti nel Mediterraneo e quelli più interni di lotta alle mafie e al terrorismo.

Ma anche per l’Italia utilizzare 172,7 miliardi, di cui 81 a fondo perduto, è un’occasione senza precedenti, per uscire realmente e bene dalla crisi e mettere finalmente mano sul serio e con concretezza ad almeno tre nodi strutturali:

1) Una riforma a sostegno del reddito del ceto medio-basso, che deve mettere le ali per sostenere la domanda interna e consentire di superare la soglia agognata del 3 per cento di crescita del PIL, per dotare il Paese di quello sviluppo capace di abbattere il debito pubblico e di riprendere la via del benessere diffuso ed equo.

2) Il rilancio del Mezzogiorno, che rappresenta, al di là di quello che si possa pensare, la più grande risorsa da attivare per garantire uno sviluppo senza precedenti a tutta l’Italia, come hanno saputo fare in Germania, con il loro Est che è diventato il motore di tutto il Paese dopo la riunificazione.

3) Una riforma fiscale in grado finalmente di premiare il valore del lavoro e quello delle imprese, delle professioni e del Terzo settore, in modo da dimostrare che anche l’Italia è in grado di allinearsi ai migliori standard europei e liberare le risorse necessarie per favorire la crescita del Paese nel campo degli investimenti, delle opere pubbliche, dei diritti sociali e civili.

Naturalmente tutto questo dovrà essere accompagnato da una classe dirigente preparata e all’altezza del compito di rilanciare la vita sociale e politica del Paese e liberarlo dalla soffocante burocrazia, dalle mafie e dalla corruzione. Non c’è giorno, infatti, in cui non emergano fatti gravissimi, insopportabili e vergognosi, in ogni Regione, in ogni territorio, come di recente è avvenuto in Sicilia sulla sanità, che ha visto coinvolti insospettabili dirigenti.

Ci troviamo alla vigilia di scelte importanti. L’Europa è la giusta cornice in cui affrontare le battaglie decisive e dotarci di una visione, di strategie e di progettualità che lasciano il segno nella storia in modo progressivo e liberante, per noi e per le nuove generazioni.

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