CIRILLO METODIO E CARLO MAGNO... a cura di Claudio Loiodice

“Cirillo, Metodio, Carlo Magno e gli Stati Uniti d’Europa”




Aristotele e la Polis
Le moderne politiche nazionali e internazionali sembrano aver riportato il calendario a prima del IX secolo.
Si astiste sempre più ad arroccamenti, a tentativi, a volte riusciti, di frammentazione e di isolamento geopolitico.
Come se, impauriti dai concetti della globalizzazione, di una società liquida, pensiero egregiamente riassunto in una vita di opere dal recentemente scomparso Zygmunt Bauman, fossimo costretti a subire una regressione dei processi culturali che si sono succeduti sin dai tempi di Aristotele.
È come se dai concetti di politica democratica aristotelica, che rappresentarono l’affinamento e l’evoluzione dei pensieri platonici, si tornasse indietro, ad esempio per il diritto alla proprietà privata (escluso da Platone) o alla suddivisone egualitaria dei possedimenti (Fàlea di Calcedonia).
Una lettura attenta di quanto scrisse Aristotele ci fa comprendere il significato ampio di condivisone politica delle comunità: “‘l’uomo è per natura un essere politico, con la conseguenza che chi non vive nella comunità politica, per natura e non per caso, è evidentemente o inferiore o superiore all’uomo, è un dio o una bestia feroce (Politica I 2, 1253a)”.
Dunque, dato che non credo che i “violentatori della democrazia”, i populisti, siano degli dei, il conto è presto fatto.
La comunità politica a seguito della globalizzazione non ha più spazi, muri, frontiere; credo sia impossibile spiegare ai nostri figli, cosiddetti “nativi digitali”, il perché si debba limitare loro lo spazio nel quale agire ed interagire, crearsi relazioni, nel nome di una “sovranità” territoriale che non ha più nessun senso.

La banalizzazione delle ribellioni
È un concetto ottuso che non troverà comprensione tra le generazioni che ci seguono e ci divideranno da loro.
Nelle piazze delle nostre città a protestare ci sono sempre meno giovani, che invece preferiscono confinarsi nel loro mondo; tranne i nostalgici facinorosi, o pochi idealisti anch’essi antiquati, a riempire le piazze di protesta ci sono quasi esclusivamente corporazioni, o pseudo e fatue ribellioni scolastiche, finalizzate esclusivamente, credo, a guadagnare un giorno di “non interrogazione”; non me ne vogliano quei giovani, ma giovane e opportunista lo sono stato anch’io.
Non ricordo una delle recenti lotte studentesche che abbia prodotto risultati quantomeno apprezzabili; la riforma della scuola è proseguita come i governi l’avevano immaginata, senza che nessuno dei giovani abbia potuto/voluto inciderne il percorso.
Perché ho evocato i Santi Cirillo e Metodio? Ebbene, poche settimane fa ricorse la festività di San Valentino. Quel giorno una mia stimata amica fortemente devota alla Chiesa, mi ricordò che la ricorrenza importante non era solo quella di San Valentino martire, ma dei Santi che consentirono l’Evangelizzazione dei popoli dell’Europa Orientale.
Tutti oggi chiamiamo la lingua russa cirillica, il perché si riconduce ad un significato non solo evangelico, piuttosto culturale, linguistico, di pace e quindi geopolitico.

Santi Cirillo e Metodio
Cirillo e suo fratello Metodio, partendo da una base linguistica prettamente balcanica, come i dialetti bulgari e moldavi, costruirono un nuovo alfabeto, chiaramente influenzato dalle strutture alfabetiche greche, che presto si espanse fino alla Russia, avvolgendola indissolubilmente.
Senza nessuna arma, ma con il dono della cultura, i due fratelli greci riuscirono a diffondere non solo le Sacre Scritture, bensì il germe dell’unificazione di quei popoli mediante la lettura e la letteratura.
L’espansione verso est della cristianità contribuì a rendere meno difficili i rapporti interculturali e a diminuire, per quanto possibile all’epoca, le ragioni di conflitto.
Si pensi ad esempio a quanto sia importante comprendere un’unica lingua nelle relazioni sociali, dal commercio al matrimonio tra soggetti di differente provenienza geografica; quanto i “buoni uffizi”, la diplomazia possa limitare i danni nefasti delle guerre.
Qui trovo agile conforto nelle competenze culturali di Emanuela Somalvico, storica del medioevo, alla quale mi rivolgo e mi affido ciecamente. Emanuela, mi volle far notare come le origini progettuali di una Europa Unita, possono essere ricondotte anche alla “rinascita carolingia” e quindi al condottiero Carlo Magno. Ripercorse in pochi minuti quel periodo ponendomi come esempio di lungimiranza di Carlo nel voler concepire l’importanza della cultura e dello studio dei testi classici, non solo per i nobili, ma per l’intero popolo. La nascita dell’Accademia Palatina e delle prime scuole dell’Impero furono suo esclusivo merito; il mutamento della struttura stessa della scrittura, con la nascita della minuscola.

Carlo Magno
Unire i popoli anche mediante la cultura, e più precisamente attraverso la scrittura, è un merito che va riconosciuto a Carlo Magno, che possiamo certamente annoverare tra coloro che credettero in un Europa Unita, libera e pacificata.
Cultura e formazione linguistica
Qualcuno trasse insegnamento da Carlo e verso la fine del IXX secolo l’Europa cercò di adottare un progetto linguistico che purtroppo presto naufragò; l’Esperanto. Una lingua semplice, di facile apprensione, una lingua democratica, come è stata definita, perché tutelerebbe le lingue minori.
L’egemonia linguistica anglosassone non fa prigionieri; ci costringe ad utilizzarla per poterci relazionare, anche in termini economici, con il resto della popolazione mondiale.
L’espansione verso est dell’Unione Europea aveva questo scopo: azzerare le competizioni di popoli vicini, simili ma diversi per lingua e religione.
Non ci siamo riusciti credo perché è mancata all’Europa, almeno per ora, la spinta disinteressata culturale e linguistica da parte degli Stati membri; di quegli Stati che non hanno affatto capito che il progetto Europeo era proprio il contrario della sovranità nazionale.
Europa e Ventotene
Con Ventotene nasceva un soggetto nuovo, una nuova sovranità che, come si è visto, ha trovato resistenze tra coloro che alla sovranità regionale sono legati, perché ad essa è legata la piccolezza delle loro idee di esercizio di un potere guadagnato senza fatica.
Trovo veramente ignorante il concetto di “padroni a casa nostra”; quale casa, se non quella globale?
Chiedetelo ai vostri figli dell’esistenza di regioni geografiche fantasiose, di muri e solcati, della difesa di quelle che molti credono indissolubili certezze: lingua, colore della pelle, religione, usi e costumi, alimentazione e relazioni sociali. Forse molte di queste prerogative possono essere mantenute, mi domando fino a quando data l’accelerazione che subisce il mondo, di certo i processi vanno seguiti e governati, non combattuti.
Esistono due sole strade per cercare di mantenere la pace così a caro prezzo conquistata: la memoria delle guerre e la cultura, che consiste non nella imposizione, ma nella condivisone.
Ecco casa a mio avviso dovrebbero essere gli Stati Uniti d’Europa.




Claudio Loiodice









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