Verso gli Stati Uniti d’Europa?
Un discorso sull’Europa oggi non può prescindere se non dal risultato delle ultime elezioni americane, anche se l’esperienza della guerra ucraina, aveva già messo in evidenza tutti i problemi strutturali di un’Europa ormai debole ed in balia non solo della sua stessa burocrazia ma anche dall’avvento dei movimenti politici sovranisti, la cui vocazione è quella di impedire più che facilitare un progetto di piena integrazione europea. Anche se occorrerebbe interrogarsi a fondo sul perché tali movimenti abbiano questa grande presa.
Tornando all’incipit, mi pare fuori discussione che il presidente americano Donald Trump abbia chiuso quel cerchio di “Giotto” che ha disegnato in modo del tutto perfetto. Ovvero fondere in modo repentino il mondo politico, quello giudiziario, quello economico, quello finanziario e quello tecnologico in un “sol uomo”, screditando con un colpo di mano le garanzie di quel bilanciamento dei poteri su cui sono state erette le democrazie dell’occidente, i cui germogli nacquero nel ventre europeo, e che l’America seppe esaltare nella loro pienezza e grandezza sulle macerie di un’Europa incendiata dalle dittature. Per poi, ancora oggi, assumere che l’Europa, sarebbe stata rigenerata solo per “fottere” gli Stati Uniti d’America.
Il tutto condito, da una crociata ideologica anti-woke, anti politically correct (che tanti guasti hanno provocato e che meriterebbero una riflessione anch’essi) e anti immigrazione, per scandire una veemente reazione contro gli infedeli progressismi additati come i fautori della disgregazione delle radici culturali dell’America e dell’occidente. Sì perché il Presidente Trump, come lui va affermando, è stato mandato, come i Blues Brothers, a compiere una missione per conto di Dio.
Certamente, anche in questo caso occorrerebbe fare una profonda riflessione sul fatto che in America si sia diffusa una cultura progressista basata su un senso di colpa storico e sull’idea per cui certi diritti civili dovrebbero avere il primato su altri, dando la stura ad imposizioni culturali e pedagogiche, con la forzatura di eguaglianze lontane dal merito e dal dovere che alla fine negano il principio per cui tutti i diritti, in una società democratica, hanno pari dignità.
Il fatto è che con il pretesto di ripristinare il retaggio culturale ritenuto come smarrito, Trump ed i suoi seguaci, in un batter d’occhio, sono giunti a concretare la semplificazione delle regole della democrazia, come d’altronde lo stanno facendo tutti i movimenti populisti e sovranisti d’Europa, conducendo la più grande democrazia del mondo verso un verticismo politico che sta azzerando ogni orizzonte ideale e sta disegnando un nuovo ordine mondiale in cui l’Europa non può e non dovrà mai avere un ruolo decisivo o determinante. Sì perché anche secondo l’opinione espressa da JP Morgan nel rapporto del 2013, l’Europa, si è sviluppata troppo in senso “solidaristico”, non riuscendo quindi a soddisfare le esigenze del libero mercato. Ragion per cui l’Europa dovrà rassegnarsi, se vuole ancora il sostegno americano, a recitare la parte della “nuova frontiera” economica. Che non è affatto la “Nuova Frontiera” idealizzata da J. F. Kennedy i cui pionieri avrebbero portato i valori della democrazia verso una nuova frontiera scientifica e spaziale, di condivisione del benessere e lotta alla guerra, di pace, di sviluppo e di libertà. Un’ azione politica rinnovatrice indirizzata, in politica estera, nella distensione e nel disarmo degli armamenti nucleari, e che in politica interna era diretta a sviluppare i progetti di guerra alla povertà e alla disoccupazione, un benessere materiale e fisico, più solido e più largamente distribuito.
La “semplificazione” della democrazia pare un fenomeno capace non solo di trasformare le democrazie per come le abbiamo conosciute ma anche di azzerare quel processo di integrazione europea che, da qualche anno ha subito una grave battuta di arresto.
Gli Stati democratici, contrariamente a quello che i più possono pensare, non si limitano ad enunciare, elencare ed affermare principi di libertà e di solidarietà umana, ma sono delle costruzioni complesse che si reggono su una serie di meccanismi ed equilibri grazie ai quali quei principi universali vengono garantiti a tutti i cittadini affinché possano esercitare la loro sovranità. Equilibri che si reggono nel controllo reciproco tra il potere legislativo, esecutivo e giudiziario guidato dai superiori principi dettati dalla Costituzione.
In sintesi la democrazia ha l’enorme e faticoso compito di tenere insieme una realtà terribilmente sfaccettata in termini di individualità e di collettività, di idealità e sensibilità sociali ed è l’espressione di difficili equilibri che coinvolgono le sue istituzioni ed i suoi cittadini, affinché l’assoluto, il verticismo od il dogma non soffochino la libertà.
I Donald Trump e gli Elon Musk dunque, non sono altro che la faccia politica e partitica di una trasformazione profonda della democrazia che, abilmente, ha inteso abbracciare e agganciarsi alla locomotiva della rivoluzione digitale, del sistema dell’informazione e della comunicazione, e della nuova economia speculativo-finanziaria per superare le barriere della complessità democratica. E questo modo di esercitare la politica, è in grado di scavalcare i complessi processi della democrazia, per rivolgersi direttamente alla volontà popolare, nell’intento di azzerare ogni confronto ed equilibrio tra le istituzioni dello Stato che, in tal modo, vengono rese prive di significato.
Ricorrere alla voce del popolo a cui far credere che un governo che agisce rapidamente senza gli intoppi delle burocrazie parlamentari o delle autocrazie della magistratura è l’unico governo in grado di risolvere i problemi, è il modo migliore per dare vita a forme di verticismo politico.
Ma è anche la strada che porta a quel lato oscuro dell’umano che è l’indifferentismo e la rassegnazione; ovvero la negazione delle democrazie.
I Trump ed i Musk si ergono a difensori della libertà, ma quale? Una libertà senza confini che, in realtà, nasconde un’idea totalizzante in cui non vi è né destra né sinistra, ma solo un’indistinta massa di individui che, se avrà perso la capacità critica, non potrà che schierarsi contro ogni forma di dialogo, di dialettica e di complessità del pensiero, per ricercare la via più breve verso la sua sola soddisfazione e senza alcuna coscienza sociale. Trasformandosi in semplificazione in movimento.
Si presentano come difensori di una morale che contestualmente viene negata dalla loro stessa conduzione di vita.
E’ indubbio che, così facendo, la politica trumpiana ci ha letteralmente scaraventati indietro nel tempo, riportandoci a prima del 1648, ovvero prima della pace di Vestfalia, quando in occidente Carlo V d’Asburgo si sentiva investito della missione di diffondere ed affermare il cristianesimo come strumento di dominio del mondo (sulla base del principio cuius regio eius religio) ed a cui si contrapponeva la visione altrettanto universalistica del mondo musulmano che voleva convertire gli “infedeli” all’Islam, nonché quella dell’impero cinese che, laicamente, pretendeva di governare su tutto ciò che si trovava “sotto il cielo”.
Quella pace in Europa, segnava la fine della sanguinosa guerra dei trent’anni, ed aveva piantato i germi delle sovranità nazionali che decisero di darsi un nuovo ordine, attraverso le diplomazie e le relazioni multilaterali da cui scaturì un ordine mondiale basato sull’equilibrio di poteri tra le nazioni.
Un ordine che, l’era napoleonica, la prima guerra mondiale e il secondo conflitto mondiale, scardineranno sotto le spinte imperiali, dominatrici e dittatoriali ma che, da ultimo, la forza dell’America riuscì a ristabilire con uno dei più potenti repellenti, ovvero i principi di democrazia e libertà. Principi che la cultura europea aveva cullato e professato per secoli, senza mai riuscire ad attuarli appieno e che, con l’avvento dell’America, era riuscita a concretizzare facendo sì che si desse vita alle Carte Costituzionali in cui sono stati sintetizzati e cristallizzati i valori fondanti di una Europa libera e democratica.
E proprio dopo la pace di Vestfalia l’Europa, e dopo la nascita del nuovo equilibrio dei poteri tra le nazioni, si pensò che lo sbocco naturale verso una pace diffusa fosse la realizzazione di un progetto ambizioso che era la costruzione di un’Europa unita e federata quale quella immaginata, da Kant nella “Pace Perpetua”, ma soprattutto dal più grande pensatore europeista e federalista italiano Carlo Cataneo che aveva teorizzato la costruzione degli “Stati Uniti d’Europa” come federazione di stati liberi. Federazione come teorica della libertà, poiché è lo strumento attraverso il quale i cittadini si rendono partecipi della politica e della società, partendo dalle realtà locali per fondersi poi, per mezzo di cerchi concentrici, nella realtà nazionale e di poi in quella sovranazionale e che avrebbe avviato il continente europeo verso una lunga stagione di pace e di prosperità sotto i principi della democrazia, della libertà, dei diritti e dei doveri. E l’idea di un’Europa federata risiedeva proprio nel rifuggire i verticismi politici.
Si immaginava un Europa in grado di esprimere una legislazione comune, una giustizia comune, un esercito comune, mantenendo tuttavia le diversità degli Stati federati che, sebbene dovessero cedere la loro sovranità, avrebbero conservato nell’autonomia federale le singole peculiarità distintive.
Ma quel processo, in qualche modo è stato avversato.
Al di là dell’idea di generare un’unione monetaria più che politica, della difficoltà di assumere decisioni da parte del Consiglio Europeo in materia di politica estera di difesa e di sicurezza perché vincolate all'unanimità, della difficoltà di alcuni stati membri di rinunciare al primato della nazione (che oggi chiamiamo sovranisti), dell’avversione di settori economici al processo di unificazione nel timore di perdere le posizioni dominanti e della burocratizzazione delle sue Istituzioni, che hanno impedito fino ad oggi di portare a compimento il processo federativo, vi è a mio parere un’altra ragione. Vi è stata infatti la volontà di ampliare costantemente lo scacchiere europeo, , ovvero il numero dei paesi membri, anche in modo frettoloso, in modo da rallentare il processo di aggregazione federata. E ciò non solo nel timore che un’unione economica e politica forte, potesse competere anche con l’America e con il mondo mettendo a confronto paesi e popoli che si caratterizzano ancora come eccellenze e come uno dei maggiori spazi di consumo per la ricchezza prodotta, ma anche per il timore che la cultura europea basata sulle radici della ricchezza dell’individualità e della solidarietà, potesse e possa contaminare una società, quale quella americana, che sebbene votata alla sacrosanta salvaguardia dell’individualità nella sua espressione di libertà per il raggiungimento del benessere, sembra distante da quei principi e valori di solidarietà umana e di sostegno alle difficoltà umane.
Valori che trovano radice non solo nelle idee libertarie espresse con Libertè, Fraternitè ed Egalitè (in cui l’Egalitè, fuori da ogni speculazione ideologica, non è l’uguaglianza sostanziale dei cittadini, ma è riconoscere la stessa dignità ai cittadini). E per vero la cultura woke o del politically correct, soprattutto negli Stati Uniti ha condizionato e sta condizionando molto i costumi sociali di un paese che da sempre ha visto nella difesa dei diritti la via maestra per la conservazione della democrazia e della libertà. Se non per il fatto che, a un certo punto, la conquista di nuovi diritti, ha portato alla negazione della sua storia e ha generato una forma di egalitarismo distorto capace di rivelarsi escludente e socialmente dannoso. Se non anche totalizzante, ma anche nelle millenarie radici cristiane (È difficile, al di là delle ipocrisie di maniera, stare dalla parte dei deboli e dei sofferenti).
Perché la cultura europea ha in sé quei principi e quei valori in cui la libertà dell’individuo di ricerca della felicità, del benessere e degli interessi materiali è un sacrosanto diritto che tuttavia, non può essere il fine ma il mezzo per il suo sviluppo morale ed è quel dovere di rendersi migliori (educare ed educarsi) che è condizione necessaria per l’esercizio dei diritti. Quel dovere che vincola i cittadini tra loro senza farli dipendenti da uno solo o dalla forza di tutti. È quel diritto-dovere di ciascun individuo di migliorare sé stesso e farsi migliore, affinché a tutti sia riconosciuta la dignità e l’opportunità di esercitare i diritti. Perché i diritti appartengono uguali ad ogni individuo e la convivenza sociale non può crearne uno solo. La società ha più forza non più diritti dell’individuo.
Ed è un fatto che questa sintesi ideale tra dovere, libertà e solidarietà si chiama democrazia! Si chiama Stati Uniti d’Europa!
Per chi come me ha sempre visto nell’America un faro della democrazia e crede ancora che sia il luogo in cui la libertà può manifestarsi come ricchezza ideale e fattiva tesa al raggiungimento del benessere umano e del mondo, lo svegliarsi dinnanzi a tanto stravolgimento è stato uno shock.
Ricordo le parole del Presidente Clinton che ebbe ad affermare che la “sovranità nazionale viene arricchita dalla vitalità di voci locali che rendono l’Europa più sicura nella sua diversità, riaffermando la nostra comune umanità, riducendo le eventualità che un’Europa disunita possa trascinare l’Europa e l’America in un altro conflitto.”
Ecco allora che la politica trumpiana, di conserva a quella putiniana e quella cinese (assai lontane dai principi della democrazia), irrompe nello scenario mondiale con modalità che da un lato ci riportano a forme di universalismo e di verticismo che avevano generato conflitti ed aree di influenza culturale, e dall’altro dispiegano progetti di disgregazione dell’Europa perché diventi il grande mercato, dietro i ricatti economici e tecnologici, da conquistare.
Di più vuole mettere in crisi le forme democratiche affinché, una volta divisi, gli Stati Europei si formino ad immagine e somiglianza di questa politica americana in cui non solo le forme della democrazia ma gli stessi equilibri democratici e lo Stato di Diritto vengano messi in discussione.
Purtroppo in Europa si sono già formati gli avamposti di questa nuova dottrina, con lo scopo di contrastare ogni tentativo di dare vita ad un’Unione Europea federata. Sono quelle forze politiche nazionaliste che intendono solo rafforzare le singole sovranità a discapito di una visione comune.
Le forze della destra europea, come anche quelle di una certa sinistra, sono pronte costantemente a criticare il cattivo funzionamento delle Istituzioni europee. Ma se anche ciò sia vero e sia sotto gli occhi di tutti, non un solo esponente di tali formazioni politiche, in questo momento di grave crisi politica e dietro le spinte autocratiche e autoreferenziali, ha espresso con chiarezza e nettezza la volontà di superare l’impasse rafforzando l’idea di costruire un’Europa federata e libera.
Per quanto riguarda le scelte della nostra Premier, esse si riflettono nella sua concezione di Europa che, per cultura, cioè quelle della destra, non potrebbe che essere confederata e non federata; ovvero concepita come sovrastruttura che non deve in alcun modo interferire con la realtà nazionale, se non per i soliti interessi economici, ma non per quelli giuridici, culturali e sociali. Ed ecco quindi che la scelta del premier eletto dal popolo, si innesta nella generale idea confederata, in cui ciascuno Stato è libero di gestire la propria identità ed autonomia per preservare le singole nazionalità, ed i singoli interessi economici, dalle ingerenze dello Stato “Confederato”, per poi anche all’interno remare contro ogni aggregazione federale, che è distribuzione e sistema di bilanciamento dei poteri, per anelare, con il pretesto di governi più stabili e forti, a forme di politica verticistica che, per paradosso, è negazione del pensiero critico e liberale, oltre che libertario.
Il dibattito sulle riforme istituzionali, ha offerto dunque allo schieramento di destra l’opportunità di porre, con forza, al centro delle scelte, la questione del premierato e alla Lega l’occasione di prospettare l’autonomia differenziata per mascherare una secessione.
Eppure questo sarebbe stato, piuttosto, il momento per tracciare con chiarezza le linee direttrici di una riforma capace di irrobustire la democrazia nel Paese e di approntare, simultaneamente, un sistema di correttivi istituzionali atti a far sì che l’Italia in Europa si rendesse parte attiva del processo di unione federale del continente. Che è l’unico sbocco per una rigenerazione del nostro Paese e per liberarlo dal provincialismo, dall’affarismo, dalla carenza di professionalità e di incompetenza di buona parte della classe dirigente. Cedere, dunque, alle proposte di riforma avanzate dalle forze di destra, significa, di fatto, frenare il processo di unione europea giacché esse insistono sul modello presidenziale anche per ritardare l’attuazione di questo processo. Il disegno politico nella visione dell’attuale premier guarda ad un presidenzialismo che risponda alle tendenze storicamente e ideologicamente nazionaliste della destra, ammiccanti, più che altro, ad ordinamenti istituzionali di tipo latino-americano. Un presidenzialismo forte provoca, di per sé, fisiologicamente, un irrobustimento delle tendenze nazionaliste quando prospetta al vertice dello Stato un rafforzamento dei poteri per accrescerne funzioni e compiti istituzionali. Intorno alla figura del presidente forte, identificato come rappresentante della nazione, si accresce l’immagine dello Stato nella sua identità unitaria e, quindi, si determina una più accentuata distinzione nazionalista.
Il modello istituzionale tipico, capace di coniugare gli interessi di ogni singolo Stato con l’insieme della comunità sovranazionale, è quello federalista e gli Stati Uniti d’Europa potranno nascere soltanto mediante l’applicazione di un autentico sistema federale, pienamente integrato con i rispettivi ordinamenti dei paesi federati.
Gli Stati Uniti d’Europa sono una necessità della democrazia e della civiltà europea nella previsione dell’area atlantica. Diceva Cattaneo: “Il vasto spazio che abbracciando gli Stati Uniti d’America e i maggiori paesi dell’Europa Occidentale, forma un mondo unico”. “La libertà - concludeva Cattaneo - vuole l’uguaglianza nei diritti e nei doveri; chi non ha diritti è un oppresso; chi non ha doveri è un oppressore”.
Il principio federalistico diventa così principio unificatore di tutti i popoli europei: federalismo come ripudio della guerra di conquista, di ogni imperialismo sopraffattore, è principio di comunione e condivisione del mercato, del mondo del lavoro, della ricerca scientifica realizzata in collaborazione tra scienziati dei diversi paesi, per dare origine alla solidarietà dei “popoli civili”.
“Il patto federale tra le nazioni è il naturale sbocco di una politica internazionale fondata sulla scienza positiva e sul principio di libertà”.
Il principio federale è sintesi di diversità perché un’unità che trascuri le distinzioni è dispotica. Ma deve, pur sempre, trattarsi di unità, altrimenti, è disordine e caos.
Il fondamento del federalismo tuttavia non è né storico, né geografico, né economico, ma solo e schiettamente culturale.
Le tendenze culturali più ascoltate ed i commerci, che sono un forte elemento di solido collegamento da un paese all’altro, i mercati finanziari, sempre di più compenetrati gli uni con gli altri, i mezzi di trasporto, di comunicazione e d’informazione, tutto quanto concorre decisamente a ridurre in uno stesso spazio territoriale le moltitudini dei diversi paesi.
E le resistenze più forti alla costruzione del processo federale, dipendono dall’ ostinazione delle classi dirigenti e di governo delle singole nazioni nel voler continuare ad esercitare una “politica di potere” necessaria alla propria conservazione.
Se non si creano movimenti di opinione pubblica, capaci di aggregare il consenso e di suscitare un’iniziativa, diffusa ed estesa, per chiamare, da un paese all’altro, i cittadini a mobilitarsi per stabilire vincoli di solidarietà e di iniziativa tra i popoli, non avremo unione sovranazionale.
Si è infatti diffusa l’idea per cui una federazione europea sarebbe la fonte di un “meticciato” dannoso che priverebbe l’Europa ed i suoi Stati delle radici tradizionali. Ma quali sono queste radici?
Per queste ragioni l’Europa oggi deve reagire e costruirsi come federazione.
Solo così potrà difendere gli equilibri democratici senza disgregare lo Stato di Diritto che presuppone una separazione dei poteri e che è espressione di quella complessità che è sintesi di libertà e non è ostacolo all’avanzamento della tecnologia, della scienza e dell’economia.
Solo così potrà difendere quelle idee millenarie di democrazia, di libertà anche economica di cui è portatrice e che ha saputo diffondere nel mondo affinché qualcuno, come l’America nel secondo conflitto mondiale, se ne appropriasse per renderci liberi da ogni schiavitù.
Queste sono le ragioni che devono muovere non solo i popoli e gli Stati verso la federazione europea perché sono quelle che servono a mantenere viva la cultura millenaria dell’Europa (non certo Dio patria e famiglia nella visione nazionalizzante e totalizzante. Né tantomeno eguaglianza sostanziale di tutti e per tutto anch’essa totalizzante).
Sebbene si viva in un mondo in cui i Trump ed i Musk di turno hanno inteso cancellare ogni forma di espressione ideale in favore della cultura della tecnologia, è altrettanto vero che solo le idealità e le spiritualità forti hanno avuto la forza di cambiare il corso della storia.
Senza la potenza delle idee e senza l’impegno di ognuno di noi che rompano l’indifferentismo diffuso, non potremmo che rassegnarci ai tempi e vedere perduta la nostra forza culturale.
Le forze politiche che davvero hanno a cuore la costruzione degli Stati Uniti d’Europa hanno il dovere non solo politico ma soprattutto morale di diffondere il messaggio a tutti, insegnare e spiegare che l’Europa deve costruirsi non per combattere qualcuno, non per avversare qualcuno, non per sopraffare qualcuno, ma perché quella meravigliosa sintesi di individualità e solidarietà è la via per resistere non solo alle sfide economiche e tecnologiche del futuro, ma anche per lottare affinché la democrazia continui ad essere la guida.
Possiamo sì parlare di riarmo ed è forse giusto ma se i governi ed i cittadini europei non hanno la volontà di educare ed educarsi all’idea di un’Europa unita e federale che meglio potrebbe difendere i valori della democrazia in vista di culture verticistiche e totalizzanti, non solo distruggeremmo noi ma non aiuteremmo neppure l’America che, oggi, forse chiede a noi ed alla nostra cultura di salvarla come fece lei dopo il secondo conflitto mondiale, per preservare la democrazia dai totalitarismi manifesti e striscianti che stanno assalendo il mondo.
America ed Europa non possono dividersi sotto le spinte centrifughe in atto e devono ritrovare il cordone ombelicale che li ha tenuti uniti fino ad oggi.
Guai a chi pensa che l’Europa od i singoli Stati possano fare a meno della più grande democrazia del mondo!
E per fare questo mi pare sia il tempo in cui le “Repubbliche greche” si ritrovino nuovamente unite a Platea per scacciare il verticismo di Serse.
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