INTERVENTO DEL SEN. LUIGI ZANDA DEL 29 LUGLIO SUL TEMA MISSIONI ALL'ESTERO




L'ex senatore Luigi Manconi si è interrogato sulla soglia oltre la quale non è più possibile proseguire i rapporti con un Paese senza democrazia e senza stato di diritto, dove vengono quotidianamente violati i più elementari diritti umani. 


Manconi sa che quella soglia si può trovare solo nel rapporto tra la gravità dei fatti e gli obiettivi della missione. 

Se si cercano la pace e lo stato di diritto, solo una saggia e lungimirante valutazione politica può discernere tra le conseguenze di una rottura e l'utilizzo degli strumenti della diplomazia. 


Dopo l'89, finito l'equilibrio nucleare tra Usa e Urss, il mondo ha sbandato e ancora non si è ripreso.

L'unico equilibrio possibile è risultato essere quello molto difficile e instabile, di un multilateralismo attento e pragmatico. 


Da questo assunto nascono le missioni internazionali che preservano quell'ordine mondiale che da decenni tiene il mondo in precario equilibrio.


Oggi l'Italia opera in 59 missioni all'estero cercando di contribuire a garantire pace e stabilità in paesi dove, frequentemente, non ci sono né democrazia, né stato di diritto, né rispetto per i diritti umani.


Ed è su queste missioni, che dobbiamo interrogarci. 


Qual è la soglia oltre la quale l'Italia deve sentire il dovere di andarsene e lasciare quei paesi al loro destino? 

Oppure, se decide di restare, che tipo di assistenza può essere data senza venir meno ai doveri imposti dalla nostra democrazia?


Davanti a tante conclamate atrocità, l'Italia, per moralità politica, dovrebbe interrompere il suo lavoro di addestramento della guardia costiera libica

Ma siamo certi che così facendo non si spezzerebbe quel tenue filo che ancora collega i regimi libici alla democrazia italiana, aggravando irrimediabilmente le condizioni di chi oggi in Libia vive in balia della violenza?


Davanti a questo dilemma, dobbiamo apprezzare la decisione delle commissioni del Senato che impegnano l'Italia a coinvolgere l'Europa nell'addestramento, a partire dal prossimo anno, della guardia costiera libica, così superando la dimensione nazionale della nostra missione.

Perché, se vogliamo essere seri, nel Mediterraneo e in Libia, il vero tema in gioco è proprio il ruolo dell'Europa. 

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Le condizioni della Libia sono vitali per l'Italia.


Era già così ai tempi di Gheddafi, che non ci piaceva, ma con il quale tenevamo buoni rapporti, tanto che oggi la stessa Francia si è forse pentita del raid che ha destituito il rais.


Per cercare di capire meglio la natura dei problemi che abbiamo davanti, riflettiamo sul ritiro americano e italiano dall'Afghanistan e osserviamo i suoi effetti negativi non solo geopolitici, ma anche per la tutela della libertà e della vita di migliaia di afghani.


Se oggi Peter Hopkirk dovesse riscrivere il suo splendido romanzo sul Grande Gioco nell'Afghanistan dell'800, inserirebbe nuovi attori e amplierebbe il teatro dell'azione. 

Nell'800, come oggi, le tensioni in Afghanistan venivano da un intreccio insolubile di contrapposizioni storiche. 


Grandi potenze e piccoli potentati, eserciti regolari e organizzazioni terroristiche, interessi politici, economici e commerciali contrastanti, trame dei servizi segreti, guerre dichiarate e guerre sporche, traffici di droga, tradimenti, doppio gioco e lotte di religione. 


Questa era, ed è tuttora, la realtà non solo dell'Asia centrale, ma anche della diversissima Libia.


Parliamo di paesi che hanno storie antiche alle spalle di cui la comunità internazionale, Italia compresa, deve tener conto.


Da secoli, l'Asia centrale, il Medio Oriente e la costa sud del Mediterraneo, sono al centro di grandi interessi strategici e le tensioni, le guerre, le stragi, gli attentati appaiono così connaturati a vicende storiche antiche da farci dubitare del successo delle missioni internazionali di pace. 

Ma non possiamo mollare, perché sappiamo che se vogliamo che in quelle regioni torni la pace, dobbiamo favorirne la stabilizzazione politica, anche con la nostra presenza. 


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I confini dell'Europa, ad est, a nord e a sud sono diventati più vulnerabili.


Dopo l'attivismo di potenza russo e turco nel Mediterraneo, cos'altro deve accadere per convincere l'Europa che senza una vera politica estera e di difesa comune corre gravissimi rischi? 


La storia può insegnare molto. 


L'assenza di coraggio delle democrazie europee nei confronti del nazismo nascente, non ha impedito né la seconda guerra mondiale, né l'Olocausto.

Ricordarlo può aiutarci a comprendere quanto sia pericoloso sottovalutare la debolezza della politica estera e di difesa dell'Europa.  


Le vicende del Medio Oriente, dell'Asia centrale e della Libia chiamano l'Europa a non intervenire in ordine sparso, ma farlo come un'unica, grande nazione che conosce i suoi interessi e i suoi doveri.


In Afghanistan gli Stati Uniti avevano i 2500 e l'Italia era presente con 895 unità. Eravamo il terzo contingente.

Ma se l'Europa fosse stata uno stato federale, il suo contingente in Afghanistan sarebbe stato il più numeroso e più significativa la sua influenza.


Oggi la nostra richiesta di una maggior presenza dell'Europa in Libia, ha un segno europeista. 


Ma, un conto è voler fare dell'Europa una federazione, un altro è limitarsi a difendere, doverosamente, i nostri concreti interessi nazionali. 


L'Europa ci sta procurando i vaccini e dall'Europa vengono gli aiuti alla nostra economia.  


Tutto necessario.


Ma la geopolitica, la Libia, l'Asia centrale e il Medio Oriente ci dicono che serve anche un europeismo con vista lunga e visione strategica.


Un europeismo che sappia ambire a un'Europa federale, in grado di esprimere una comune volontà nella gestione non solo dell'economia, ma anche della politica estera e di difesa.


Qualcuno ha detto che raramente i contemporanei riescono a percepire le grandi trasformazioni che avvengono sotto i loro occhi. 


Forse è per questa ragione che l'Europa non riesce a vedere quanto seri siano i rischi che sta correndo.


Concludo.


Il passaggio da Trump a Biden ha messo fine a un incubo. 

Ma ha anche messo nuovamente in evidenza le debolezze strutturali di un'Europa che non può continuare a pensare che la propria sicurezza rimarrà in eterno affidata alla forza dell'alleato americano.


Il disimpegno dall'Afghanistan e la vicenda della Libia debbono far maturare l'idea di quanto sia necessaria una vera difesa europea, una difesa che abbia dietro una politica e una forza armata europee.



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