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IL FUTURO DELL’EUROPA CON LA LEZIONE DEL COVID E DOPO LA VITTORIA DI BIDEN STA NEL CAMMINO VERSO GLI STATI UNITI D’EUROPA di Giuseppe Lumia

 



L’Europa non è ancora all’altezza della sfida. La Fase 2 della diffusione del Covid tempesta dappertutto l’umanità, anche l’Occidente è nel pieno della bufera. 


Le decisioni istituzionali vanno pertanto prese con risolutezza e appropriatezza, anche in vista della delicata gestione del vaccino, che dovrà essere, oltre che sicuro, gratuito e accessibile a tutti. 


L’Unione Europea procede a passo lento, anzi arranca e rischia di dilaniarsi in enormi contraddizioni. Non c’è una efficace strategia comune di lotta al virus e non si riesce a far decollare la pur inedita e innovativa scelta del Recovery Fund, indispensabile per parare i colpi della altrettanto devastante crisi economica.


Adesso con il recente risultato elettorale anche gli Stati Uniti si sono rimessi in movimento. Come in altri momenti difficili della loro storia, sanno reagire con un colpo di reni. Avvenne con Roosevelt e più di recente con Obama. Si profila ora una fase stimolante con Biden e la Harris, che hanno subito messo in piedi alcuni progetti-obiettivo sostenuti da investimenti pubblici da capogiro, per rimettere al centro la sanità e il rilancio del sistema produttivo rispetto all’economia finanziaria, il riconoscimento del valore del lavoro e dei diritti dei lavoratori rispetto al precariato e all’umiliazione del ceto medio-basso, sino a prevedere un salario minimo di 15 dollari l’ora. 


Anche l’Unione Europea ha reagito allo scossone dei populisti e nazionalisti alle elezioni europee, ma manca ancora di visione e di scelte innovative: non c’è niente all’orizzonte che la metta su un binario dinamico, vivo e progettuale, al punto da poter creare il clima giusto di condivisione e di partecipazione a una svolta di portata storica. 


Ci si ostina a non prendere atto che con l’attuale assetto istituzionale e burocratico dell’Unione Europea non è possibile fare i dovuti e sperati passi in avanti. Nessuna incisiva misura sulle disuguaglianze, sulla green economy, sulla sicurezza comune nella lotta alle mafie e al terrorismo, sulle innovazioni biotecnologiche, sulla gestione dei debiti sovrani, come ha evidenziato lo stesso Presidente del Parlamento Europeo. Al contempo l’Europa rimane tagliata fuori nei delicati teatri di crisi, compresi quelli presenti nel cuore del Mediterraneo. 


Il modello Confederale lascia il Parlamento Europeo senza veri poteri legislativi. La Commissione Europea rimane debole, mentre il ruolo decisivo resta in mano ai singoli Governi, abbarbicati nel Consiglio Europeo, pronti a usare strumentalmente il potere di veto, come stanno facendo la Polonia e l’Ungheria, in questo caso per scansare il rispetto dei basilari principi dello Stato di diritto. 



Gli scenari possibili rimangono sempre tre: 


LA SCELTA STATICA: si rimane fermi e non si cambia niente. Lasciare in piedi il modello Confederale dell’Unione Europea è chiaramente un’opzione debole e priva di capacità di guida comune le società europee verso le nuove sfide interne e globali dello sviluppo sostenibile socialmente e ambientalmente. 


LA SCELTA REGRESSIVA: ci si muove ma per tornare indietro. Riportare le lancette della storia verso il ritorno di potere agli Stati Nazione è un’opzione foriera solo di conflitti e guai, come già si verifica quando si affrontano temi delicati come le strategie sull’immigrazione e sulle politiche di contenimento del debito o di investimento per la crescita. 


LA SCELTA PROGRESSIVA: mettersi in cammino per andare avanti. In effetti, è il momento propizio per avviare l’Europa verso una stagione Federale con più unità e più democrazia decidente e partecipata, perché così sarà in grado di tenere testa al ruolo degli americani, dei russi e sempre più dei cinesi e di dare finalmente alla globalizzazione un indirizzo totalmente diverso da quello attuale, come delineato nella coraggiosa enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco.


È tempo insomma delle grandi scelte, mentre tutt’ora sono inspiegabilmente fermi i due più grandi partiti diffusi in tutta Europa e ancora i più affidabili e rilevanti: quello popolare e quello socialista-democratico. Le due grandi famiglie politiche europeiste dovrebbero invece rompere gli indugi e avviare insieme alle altre forze ambientaliste, progressiste e liberali, con una precisa road map, la fase costituente degli Stati Uniti d’Europa. 


Anche la resistente cultura politica francese comincia a dare segnali positivi, come di recente ha espresso Macron. Il leader spagnolo Suarez, Conte e Zingaretti in Italia dovrebbero incalzare i vari leader europei con in testa la Merkel per imboccare l’unica strada che può rimettere realmente in movimento l’Europa.


È ancora possibile trasformare la maledetta crisi Covid in opportunità. Non pensiamo di cavarcela senza avere una visione che vada oltre un semplice ritorno al passato. Così l’elezione di Biden e della Harris non può solo farci tirare un bel sospiro di sollievo, c’è comunque bisogno di tenere con gli americani un rapporto alla pari e più maturo.  


Una parte consistente della società europea è pronta: tre giovani su quattro non aspettano altro, così le componenti più aperte delle forze sociali impegnate nel volontariato, nella cultura, nella ricerca e nel mondo sindacale e imprenditoriale. 


Le forze politiche storicamente e sinceramente europeiste si sveglino prima che sia troppo tardi e svolgano appieno il proprio ruolo di guida del cambiamento, con una visione e una progettualità per l’Europa ricca di valori e di opportunità sociale ed economica.

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