L’Unione europea e le istituzioni che l’hanno preceduta sono nate secondo un modello sbagliato tendente al confederalismo.
Non doveva essere così.
I padri pensatori e sognanti che credevano nel sogno europeo la pensavano in modo diverso.
Jean Monnet il 5 agosto del 1943 scriveva nel pieno della seconda guerra mondiale:
«Non ci sarà pace in Europa se gli Stati verranno ricostituiti sulla base della sovranità nazionale[...] gli Stati europei sono troppo piccoli per garantire ai loro popoli la necessaria prosperità e lo sviluppo sociale. Le nazioni europee dovranno riunirsi in una federazione.»
Churchill concludeva così il suo discorso all’Università di Zurigo il 19 settembre del 1946:
“Sotto la direzione e nel quadro di questa organizzazione mondiale, dobbiamo ricreare la famiglia europea in una struttura che potrebbe chiamarsi Stati Uniti d'Europa. Ed il primo passo concreto sarà quello di costituire un Consiglio d'Europa. Se da principio non tutti gli Stati d'Europa vogliono o sono in grado di far parte dell'Unione, dobbiamo ciò nonostante continuare a riunire e ad organizzare quelli che vogliono e quelli che possono. Il mezzo per risparmiare agli uomini di ogni razza e di ogni paese la guerra e la schiavitù, deve poggiare su solide basi ed essere assicurato dalla disponibilità di tutti gli uomini e di tutte le donne a morire piuttosto che sottomettersi alla tirannia. […] Perciò vi dico: lasciate che l'Europa sorga!”.
Modello federale presente anche nel manifesto di Ventotene.
Ebbene niente di quello che era il sogno europeo di ottant’anni fa è stato attuato.
La qual cosa oltre che essere triste per i federalisti come il sottoscritto, è assai preoccupante perché il modello confederativo, che de facto è stato scelto, ha reso debole l’Unione Europea in tutti gli scenari odierni.
Non si può non notare la inconsistenza geopolitica della Unione Europea in tutti i temi caldi a partire dal medio oriente, in relazione alla strage del 7 ottobre, a cui è seguita la guerra a Gaza, alla invasione russa in Ucraina, all’abbandono dell’ Afghanistan oppure del centrafrica, appare evidente che tale inconsistenza dimostra l’estrema fragilità dell’Unione Europea, un gigante dai piedi d’argilla complice la lentezza nel prendere decisioni tranne che sulla riduzione di protezione del lupo, e qui preferisco stendere un velo, e su normative che hanno distrutto il settore automobilistico favorendo l’industria cinese.
Siamo quindi nell’ora più buia del sogno europeo. E per uscire dal buio o si cambia o si muore. I nostri valori occidentali e la democrazia sono a rischio, circondati dalle autocrazie. Serve un modello forte, federale, con chi ci sta. Non un modello a confederazione imperfetta, come l'attuale UE, che non è uno Stato, ma un insieme di Stati che restano ipersovrani. Oggi il livello confederale è, de facto, subordinato e dipendente per il suo funzionamento dagli Stati che la compongono e che procedono in ordine sparso con decisioni che necessitano di un approccio comune. Al contrario serve un esercito unico, un debito comune, un fisco comune, un welfare avanzato ed una politica estera comune. Uno stato federale moderno deve far ritornare in auge il binomio democrazia=benessere, oggi in crisi più che mai, specialmente con il fatto che non si sa più quanto si possa contare sull’alleato Usa.
Questa lezione ci arriva dalla storia, in parte descritta in modo mirabile dal giornalista storico William L. Shirer nel suo libro “1930-1940 gli anni dell’incubo”.
La democrazia se non produce benessere va in crisi e dietro l’angolo arrivano i totalitarismi.
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